Vouyerismo su LinkedIn

La piattaforma dedicata al professional network sotto attacco di guardoni 2.0?
LinkedIn sta assumendo sempre più il ruolo di leader incontrastato tra le piattaforme dedicate al networking di taglio professionale. Oltre 187 milioni di utenti iscritti, di cui più di 4 solo in Italia, molti dei quali si avvicinano all’utilizzo della piattaforma per due motivi principali: cercare lavoro, mettendo in bella vista il proprio profilo, e offrire lavoro, pubblicando annunci con l’intento di entrare in contatto con professionisti di ogni settore. Ovviamente Reid Hoffman, quando insieme ai suoi soci fondò LinkedIn, non pensava solo a un social network nel quale facilitare l’incontro tra Domanda e Offerta in ambito professionale, anche se appare a molti essere questa la sola mission del portale.
LinkedIn è anche un relationship maker tool, un luogo virtuale in cui confrontarsi e creare partnership con figure esperte, uno spazio in cui, secondo una netiquette fondata sul rispetto reciproco, contributi costruttivi e un tocco di formalità, è possibile creare nuove reti sociali basate sulle affinità professionali. Questa seconda natura del network si manifesta al meglio all’interno dei gruppi, siano essi professionali, di networking o di altra specie.
Confronto e partecipazione, dibattito e condivisione, tutto all’insegna della crescita e del sapere collettivo, libero e gratuito. Una sola regola (non scritta) per accedere a tutto ciò: self reputation, ovvero, bisogna metterci la faccia (competenze ed esperienze!). Ecco perché chi si avvicina al mondo di LinkedIn non dovrebbe (o non può?) presentare il proprio account privo di immagine di profilo e biografia. Eppure sembra che, all’aumentare della notorietà del social network, stiano aumentando il numero di utenti registrati ma (stranamente?) tutti privi di una qualche identità distinta o intelligibile.
Nelle settimane iniziali di dicembre 2012 infatti mi è capitato di notare una cosa che ha del melodrammatico. Accedendo alla lista delle persone del network che hanno visitato il mio profilo sono rimasto alquanto meravigliato dal trovare un elenco, anche abbastanza lungo, di utenti dai nomi più improbabili e giunti sulla mia scheda utente dai più disparati luoghi nel mondo: jim rack dalla Giordania, esperto in Medicina alternativa, jacob koern dal Liechtenstein impegnato in Organizzazioni civiche e sociali, jain call, compatriota italiano/a che lavoro con un Metodo alternativo di risoluzione delle controversie. La lista è lunga e ci sono utenti da Francia, Uganda, Kazakistan, etc etc., poi, finalmente, si ritorna alla normalità con User Id, che, sembrerebbero (il condizionale a questo punto è d’obbligo) reali. Ognuno, naturalmente, può farne l’uso che vuole dei social media ma, a mio modesto parere, un fenomeno del genere necessita almeno due considerazioni a riguardo.
- i profili appena citati apparterrebbero a individui che, in possesso di un minimo di informazioni sul sottoscritto (magari mi conoscono anche di persona o hanno avuto modo di farlo?), stanno utilizzando LinkedIn per “spiare ” e “invadere” il mio spazio professionale senza che io possa sapere chi si celi dietro il John Doe di turno!
- gli stessi profili apparterrebbero a Head Hunters ai quali interessa avere maggiori indicazioni sulle mie competenze ed esperienze culturali e lavorative senza però mostrarsi in prima persona, evitando di fornire ulteriori dati sull’azienda o agenzia di selezioni per le quali lavorano (perché hanno ricevuto il mio CV in seguito a una candidatura?)!
In entrambi i casi mi sento di dire che di LinkedIn si potrebbe e dovrebbe fare un uso diverso, sia perché la piattaforma, per come è strutturata e per i contenuti che vi circolano, poco si presta all’inciucio online legato alle attività personali dell’utente, a differenza del Facebook di turno. Inoltre, qualora siano effettivamente i cacciatori di teste a utilizzare fake identities, beh… non sarebbe meglio adottare le regole non scritte previste dal social network e provare a “dialogare de visu” con i candidati?
E se mi sbagliassi e tutti questi account fossero persone reali, vive e vegete? No problem, ho sempre sognato di visitare Astana!
Tommaso Lippiello
sono dei bot
Si, diciamo che in gran parte lo sono, anche se qualcuno qualcuno di reale si nasconde tra loro 🙂