Spyware e giornalisti: il report shock su Graphite e il caso Paragon

Il report recentemente pubblicato da Citizen Lab dell’Università di Toronto svela come lo spyware Graphite, distribuito dall’azienda Paragon Solutions, ha colpito i dispositivi di attivisti e giornalisti italiani. Questo caso ha catturato l’attenzione su pratiche sempre più preoccupanti di sorveglianza tecnologica, che sollevano interrogativi sulla privacy e sulla libertà di stampa nel paese.

Analisi del report di Citizen Lab

Il documento di 25 pagine redatto da Citizen Lab analizza meticolosamente il caso Paragon, iniziato quando diverse figure prominenti in Italia sono state oggetto di spionaggio tramite il software Graphite. Scritti in modo sintetico, i capitoli del report descrivono le tecnologie coinvolte e i passaggi chiave degli attacchi. Tra i colpiti c’è Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it, il cui smartphone ha mostrato segni di intrusione. Graphite, descritto nel report come un’“arma ipersonica nel mondo della sicurezza”, risulta essere uno strumento tecnologicamente avanzato, capace di creare vulnerabilità nelle applicazioni di messaggistica più diffuse, inclusa WhatsApp.

Paragon Solutions non è una start-up qualsiasi. Fondata nel 2019 da figure di spicco, come Ehud Barak, ex Primo Ministro di Israele, l’azienda si specializza nella vendita di software di sorveglianza a governi e agenzie, promettendo l’uso esclusivo per indagini su reati gravi. Tuttavia, il report evidenzia come tali criteri di utilizzo siano stati trasgrediti, tanto che l’azienda ha già sospeso i contratti con l’Italia a seguito delle pressioni pubbliche.

Il percorso della scoperta

Il caso Paragon ha preso piede il 31 gennaio 2024, quando Meta ha avvisato tramite WhatsApp gli account interessati, rivelando che la piattaforma aveva interrotto le attività di un spyware collegato a Paragon. Le prime indagini hanno dimostrato che l’inizio dello spionaggio risale ad almeno febbraio 2024, evidenziando la durata e l’intensità di tali intrusioni. Attraverso informazioni raccolte da un collaboratore, Citizen Lab ha potuto mappare una rete di server associati al software Graphite, confermando la sua origine e distribuzione.

Affascinante è il modo in cui il spyware riesce a infiltrarsi nei dispositivi. Secondo il report, una delle modalità più comuni consiste nel ricevere un semplice PDF tramite WhatsApp, un gesto innocuo che può attivare il principio di funzionamento di Graphite senza che la vittima ne sia consapevole.

Gli sviluppi in Italia e le implicazioni legali

È fondamentale sottolineare che gli sviluppi iniziali del caso si sono registrati in Canada, dove la polizia dell’Ontario era già sotto osservazione per l’uso di Graphite. Questa compartecipazione ha aperto la strada a una collaborazione con Meta, avviando un processo di investigazione che ha portato all’inevitabile blocco delle attività legate allo spyware. Meta ha comunicato la situazione a oltre 90 contatti, incluso il “gruppo italiano” di cui fanno parte diverse personalità.

Con l’aumento della notorietà del caso, il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, ha adottato misure di segretezza, rendendo complicata la trasparenza legata alle indagini. Nonostante ciò, le procure di diverse città stanno lavorando su questi casi, paralleli all’attenzione crescente anche a livello del Parlamento Europeo.

I registri di Paragon e le future indagini

Nonostante la riservatezza imposta dal governo, il report di Citizen Lab menziona registri dettagliati delle attività di operazioni governative condotte negli anni da Paragon. Questi registri potrebbero rivelarsi cruciali per comprendere la portata dell’utilizzo di Graphite in Italia e per dare trasparenza su come e perché questo software sia stato impiegato. Le indagini sono all’incrocio tra sicurezza e tutela della privacy, evidenziando un aspetto cruciale della democrazia e della libertà d’informazione.

Possibili sviluppi sul caso sembrano quindi indicare un’analisi sempre più approfondita della situazione. Saranno necessarie azioni decisive per garantire che strumenti di sorveglianza non vengano utilizzati per limitare i diritti fondamentali di individui e professionisti nel campo dell’informazione e dell’attivismo.

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