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Quanto è libera la rete al tempo dei Social Network?

Geert Lovink (Adilkno Foundation) e Mitchell Baker (Mozilla) si sono incontrati al festival di ‘Internazionale’ a Ferrara. Come fara’ la rete a sfuggire dal sempre piu’ stringente controllo delle grandi corporazioni e dell’identificazione a tutti i costi?

“Quanto è libero l’accesso a informazioni e dati al tempo del capitalismo digitale?”

Internazionale 2012_FerraraDa questo conciso e sconfinato interrogativo (nonchè titolo del dibattito) si è sviluppata la conversazione che – grazie al Festival del giornalismo di “Internazionale” svoltosi a Ferrara lo scorso week-end – ha visto confrontarsi Mitchell Baker (presidente di Mozilla e coordinatrice della Mozilla Foundation, per la prima volta in Italia) e Geert Lovink, ricercatore olandese e membro della Adilkno Foundation.

Sedendosi in platea, dove si era appena concluso un incontro incentrato sul fenomeno dirompente della cosiddetta “primavera araba”, ci si sarebbe aspetti un’apologia del ruolo svolto da internet – e, in particolare dai social network – quale potente strumento di libertà e di liberazione.

Proposta

Si scopre invece, nel puntuale racconto di Geert Lovink, che sta diventando sempre più forte e inarrestabile quel processo di accentramento (e di controllo) della rete nelle mani di poche e potenti corporazioni, denunciato già a fine anni ’90.

Per intendersi Facebook, nella concezione più pessimistica, rappresenterebbe solo il primo passo di una nuova fase dell’evoluzione del web che andrebbe a cancellare i valori per cui internet era divenuto sinonimo di libertà per intere generazioni.

Abbiamo scritto alcune settimane fa dell’investimento mobile di Facebook che prevede, in un futuro molto prossimo, l’utilizzo delle informazioni personali degli utenti per costruire annunci pubblicitari “personalizzati” anche su smartphone; o, meglio, la vendita alle aziende dei dati personali degli utenti per permettere a queste ultime di studiare al meglio le proprie campagne commerciali.

Tuttavia, perché questo sia possibile, diviene indispensabile che siano veritiere le informazioni inserite dagli utenti nella propria registrazione al noto social network di Menlo Park; un obiettivo perseguito con impressionante determinazione dagli uomini di Mark Zuckerberg, al punto da promuovere l’invito agli utenti a “denunciare” la vera identità dei profili apparentemente anonimi che – per Lovink – è una contraddizione insanabile con i principi originari della Rete.

Non è difficile ricordare, d’altronde, che proprio la possibilità di entrare con un nickname in un campo libero e potenzialmente infinito ha rappresentato l’innovazione travolgente del web per milioni di donne e uomini; oggi, la struttura di Facebook che vuole riproporre i legami esistenti nella società e l’obbligo di “identificarsi” limitano evidentemente questa prospettiva.
Una limitazione che, tuttavia, viene accolta quasi sempre con favore dagli utenti, che percepiscono – per una necessità reale o indotta – il bisogno di “proteggersi dai pericoli della Rete”.
Il benvoluto affermarsi di questo modello di stretta identificazione, d’altronde, si evidenzia con l’adozione da parte di molti siti della possibilità di accedere solo attraverso un accesso Facebook.

Un aspetto che, come annunciato da Mitchell Baker, Mozilla proverà ad affrontare – nei prossimi giorni – rilasciando un proprio sistema di riconoscimento (“Mozilla Persona“), che richiederà per l’iscrizione (a differenza del social network blu) solamente una mail e la scelta di un nickname, e permetterà con il “log in” l’accesso ad una molteplicità di siti.
Uno strumento rispondente alla cultura di Mozilla (“una comunità con legami più profondi di Facebook – ha ricordato la Baker – che lavora ad una nuova fase del web, dove si progredisca decentralizzando il potere”) utile, dunque, a invertire questa tendenza a usare l’accesso tramite il “log in” Facebook come cavallo di Troia per accedere a informazioni personali degli utenti.

La stessa Mozilla, per altro, si è trovata in queste settimane a scontrarsi con Apple, decidendo di non apportare le modifiche strutturali ai propri prodotti richiesti dal colosso di Cupertino perché queste potessero essere inserite nello store.
Apple che, nel corso del dibattito, è finita indirettamente sul banco degli imputati, a fronte di una critica ben definita rispetto al diffondersi dei dispositivi mobili. Grazie al già esposto principio, condiviso da molti utenti, per cui la comodità e la funzionalità valgono la cessione di un pò di sicurezza e di privacy, il passaggio dal browser alle app come strumento della navigazione ha in qualche modo contribuito ad una restrizione del campo infinito del web: se la rete è uno spazio aperto in cui tutti partono uguali e possono costruire i propri mondi, il catalogo di app presenta un’offerta predefinita, limitata e predeterminata dalle aziende e non dagli utenti della rete.

Eppure, a dispetto di voli pindarici ben argomentati, la realtà quotidiana impone problemi ben più concreti.
Come è notto, la stessa Mozilla vive in larga parte grazie ai finanziamenti di Google, dal momento che non dispone di un ritorno economico (non trattandosi Mozilla di una società quotata in borsa), ma che evidentemente ha assunto negli anni il rango di grande potenza monopolista nel web che difficilmente si coniuga con le prospettive delineate da Mitchell Baker.

Controllo Web dai Social Network

Ed ecco, quindi, che il nodo centrale della discussione, il quid che risolve il quesito su che cosa vincola “l’accesso a informazioni e dati al tempo del capitalismo digitale”, riguarda le infrastrutture del web.

E’ illusorio e dà benefici solo alle grandi corporazioni – ha detto Lovink in uno dei passaggi finali del suo intervento – pensare ad un web aperto; ci vuole il controllo. La differenza è che deve essere un controllo esercitato dal basso.

Negli anni ’80, quando il web faceva registrare i suoi primi segni di grande evoluzione, gli stati nazionali – complice l’avanzata culturale del neoliberismo – hanno lasciato lo sviluppo delle infrastrutture nelle mani dei privati (sempre meno e sempre più monopolisti) a dispetto di una potenziale programmazione pubblica.
Oggi, mentre qualcuno propone sistemi elettronici di voto che niente hanno a che fare con la partecipazione e che “già sappiamo essere facili da manipolare”, potrebbe proprio avere ragione Geert Lovink a dirci che la sfida dei prossimi anni sarà la costruzione di infrastrutture pubbliche, né statali né private ma patrimonio collettivo, condivise e controllate dal basso, capaci anche di ripensare il web come strumento per l’autorganizzazione da parte dei soggetti di forme innovative di partecipazione. Un sistema di sub-veillance insomma.

A dispetto di Zuckerberg e di Apple, potrebbe davvero essere questa la più grande rivoluzione del web.

Mattia Nesti

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Mattia Nesti

Classe 1992, sono nato e vivo in Toscana, a Pistoia, dove ho frequentato il Liceo Classico, coltivando la passione per la scrittura. Giornalista pubblicista, ho collaborato e collaboro tutt'ora con portali online di informazione locale e nazionale.

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