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Politica 2.0: il controverso rapporto con i social network

Sempre più i cittadini che si informano attraverso i social network; sempre meno anche in Rete, però, appaiono gli spazi di confronto libero di idee non ‘influenzate’ artificialmente.

L’avvento dei social network (e prima ancora, con la fine degli anni ’90, di internet come fenomeno di massa) ha indubbiamente rivoluzionato anche i modi e i tempi dell’informazione e, conseguentemente, della formazione del pensiero politico nella cittadinanza.

Oggi, a poche settimane dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il Pew Research Center ha presentato i risultati di un sondaggio sull’influenza dei social network nell’opinione pubblica da cui emerge che per il 36% degli utenti alcuni portali come Facebook o Twitter sono “importanti” o “molto importanti” per rimanere aggiornati sull’evoluzione dello scenario politico.

Politica e Social Network

Proposta

Solo per il 25%, tuttavia, i social network rappresentano anche uno spazio virtuale in cui è possibile costruire un proficuo confronto fra diverse opinioni e proposte relative ai temi politici di attualità.

I social network, quindi, si presentano come infiniti contenitori di notizie e di “messaggi” che, però, non aprono spazi reali di confronto “trasparente”; un quadro estrapolato dalla realtà americana ma che, come dimostrano gli accadimenti degli ultimi giorni, potrebbe tranquillamente essere riportato anche nel nostro perimetro nazionale.

Basti pensare al proliferare di pagine Facebook che, raccogliendo centinaia di migliaia di “likes”, sono diventate reali punti di riferimento nell’ambito dell’informazione online, raccogliendo le news più significative sia da testate “mainstream” che da canali un tempo etichettabili come di “controinformazione”; con la crescita esponenziale delle fonti (spesso anche non verificate né attendabili) assistiamo, tuttavia, sempre di più ad un fenomeno di ritorno del grande pubblico – anche nel web – verso testate che abbiano una propria riconosciuta autorevolezza, dettata o dalla storia su carta stampata (pensiamo a “Repubblica.it”, che già sul finire del secolo scorso aprì un vero e proprio quotidiano online) o dal profilo di alta professionalità che può essere percepito anche in nuove esperienze editoriali.

E’ certo, tuttavia, che se nel 2001 la stragrande maggioranza dei cittadini apprese dalla radio o dalla televisione del tragico attentato alle Twin Towers, oggi è dalle condivisioni delle “breaking news” su Facebook o Twitter che molti di noi hanno saputo dell’uccisione di Osama Bin Laden.

Non basta questo, però, per poter credere che il web e i social network – con la loro enorme capacità di veicolare informazioni – siano strumenti di per sé capaci di offrire nuovi spazi di libera circolazione delle idee e, quindi, di democrazia.

Basti pensare alle vicende che in questi giorni hanno investito il “fenomeno” Beppe Grillo, capace di costruire nella rete – nell’arco di un lustro – un grande peso politico e di influenza sull’opinione pubblica; al di là del merito delle vicende – su cui non è opportuno intervenire – è interessante riflettere su una frase ricca di significati.

“Online il 90% dei contenuti è creato dal 10% degli utenti, queste persone sono gli influencer, quando si accede alla rete per avere un’informazione, si accede ad un’informazione che di solito è integrata dall’influencer o è creata direttamente dall’influencer. […] L’influencer è un asset aziendale, senza l’influencer non si può vendere, c’è una statistica molto interessante per le cosiddette mamme on line, il 96% di tutte le mamme on line che effettuano un acquisto negli Stati Uniti, è influenzato delle opinioni di altre mamme on line che sono le mamme on line influencer”.

Questo scriveva sul suo sito, nel giugno 2009, l’ormai noto Gianroberto Casaleggio, comprimario del Movimento 5 Stelle insieme a Beppe Grillo.

Ecco, a proposito di come si possa costruire un confronto artificiale e non trasparente intorno all’informazione che passa dal web, provate a pensare a cosa potrebbe succedere se applicassimo il principio degli “influencer aziendali” anche al mondo dell’informazione.

Ci potremmo perfino trovare di fronte a migliaia di cittadini “normali” pronti a credere – con un semplice fotomontaggio – che una testata di grande autorevolezza giornalistica come “Il Corriere della Sera” abbia scritto davvero in prima pagina che “Grillo alle elementari citofonava e scappava”.

Beppe Grillo Citofonava e scappava - Il Corriere

Potere, come sempre gravido di contraddizioni, della Rete.

 Mattia Nesti

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Mattia Nesti

Classe 1992, sono nato e vivo in Toscana, a Pistoia, dove ho frequentato il Liceo Classico, coltivando la passione per la scrittura. Giornalista pubblicista, ho collaborato e collaboro tutt'ora con portali online di informazione locale e nazionale.

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2 Comments

  1. Personalmente ritengo che il Web possa diventare un canale non solo di comunicazione, ma anche di elaborazione politica.
    Nella mia tesi di laurea (http://www.wholeworldtrip.com/2011/10/web-presence-dei-partiti-politici.html) ho analizzato la tipologia e qualità della Web Presence di alcuni partiti politici italiani, arrivando a descrivere la loro strategia di presenza per lo più come “un modo vecchio di gestire un media nuovo”.
    Auspico quindi che questo salto da “vecchio media” a “nuovo media” (in pieno stile Web 2.0), avvenga presto: sarebbe la nascita della democrazia partecipata.

  2. Ciao Luca
    hai ragione. Il futuro della Politica può e deve essere anche sul Web, l’importante è che ci siano persone capaci di farlo.
    Complimenti comunque per la tua tesi, molto attuale davvero.
    Ti consiglio di dare uno sguardo al sito di un amico e guest editor di Social Media Life, l’indirizzo è http://www.faicomeobama.it.
    Contattalo pure anche per un semplice scambio di idee, è molto disponibile.
    A presto
    Tommaso

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