Roy Ayers, icona del jazz-funk, muore a 84 anni a New York, lascia un’eredità musicale senza pari

Un grande del mondo della musica ha lasciato il segno per sempre. Roy Ayers, uno dei jazzisti più influenti del post-bop e pioniere del jazz-funk e dell’acid jazz, è morto a 84 anni il 4 marzo a New York. Conosciuto come il “padrino del neo-soul“, Ayers è stato un compositore, vibrafonista, cantante e produttore, famoso per il suo album cult “Everybody Loves the Sunshine”. La sua famiglia ha comunicato la triste notizia, sottolineando il suo impatto indelebile e il suo ruolo ricercato come collaboratore musicale.

La carriera musicale di Roy Ayers

Roy Ayers ha costruito una carriera straordinaria, pubblicando decine di album a partire dal suo esordio nel 1963 con “West Coast Vibes”. Il suo apice professionale è arrivato nel 1976 con l’uscita di “Everybody Loves the Sunshine”, un’opera che ha segnato un’epoca. Le sue canzoni, dalle melodie contagiose, sono state campionate da artisti di fama mondiale come Mary J. Blige in “My Life“, A Tribe Called Quest in “Bonita Applebaum” e Junior M.A.F.I.A. in “Get Money“. Nel 2016, il brano che dà il titolo all’album è stato selezionato da Pitchfork come una delle 200 migliori canzoni degli anni Settanta, confermando l’influenza duratura dell’artista nel panorama musicale.

La carriera di Ayers non si è limitata a successi commerciali. Ha anche collaborato con artisti di diversi generi e ha contribuito a progetti innovativi. Con l’apporto del vibrafono, Ayers ha creato un sound unico che ha unito jazz e funk, influenzando generazioni di musicisti.

Le origini e la formazione musicale

Nato il 10 settembre 1940 a Los Angeles, Roy Ayers è cresciuto in una famiglia musicale. I suoi genitori, Ruby, insegnante di pianoforte, e Roy Senior, trombonista, hanno fornito un ambiente fertile per la sua crescita artistica. Da bambino, Ayers mostrava già una inclinazione naturale per la musica, iniziando a suonare il pianoforte a soli cinque anni. L’interesse per gli strumenti musicali si è ampliato nel tempo, includendo steel guitar, flauto, tromba e batteria, ma è stato il vibrafono a catturare la sua attenzione, grazie all’incontro con il leggendario vibrafonista jazz Lionel Hampton, che gli regalò le sue bacchette durante un concerto.

La scelta di dedicarsi al vibrafono ha fatto la differenza nella sua carriera, permettendogli di sviluppare uno stile distintivo, ricco di sonorità melodiche.

Innovazioni e collaborazioni nell’industria musicale

L’inizio della sua carriera professionale è avvenuto attraverso una collaborazione con il flautista jazz Herbie Mann nel 1966. Questo incontro ha portato alla fondazione della sua band, Roy Ayers Ubiquity, durante gli anni ’70. Il passaggio dal jazz-funk all’R&B è stato naturalmente influenzato dai cambiamenti del panorama musicale dell’epoca. Gli album “Mystic Voyage” e “Everybody Loves the Sunshine” sono esempi chiave di questa transizione, entrambi prodotti dalla Polydor e caratterizzati da un mix di elementi funk e soul che hanno rivoluzionato il genere.

Negli anni ’80, Ayers ha continuato a guadagnare riconoscimenti, con il singolo “Don’t Stop the Feeling” che ha raggiunto la top ten della Billboard’s Hot Disco/Dance Chart. La sua versatilità si è evidenziata anche nel 1988, quando ha preso parte alla registrazione del brano “Love Will Save The Day” di Whitney Houston, evidenziando la sua presenza anche nel pop.

Eredità e impatto culturale

Roy Ayers ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo della musica, contribuendo a progetti significativi anche oltre il suo repertorio. Tra gli anni ’90 e il 2010, ha collaborato a iniziative come “Stolen Moments: Red Hot + Cool” , destinato a sensibilizzare sull’epidemia di AIDS all’interno della comunità afroamericana. Ha anche fondato due etichette discografiche, Uno Melodic Records e Gold Mink Records, per promuovere artisti emergenti.

Nel 2004 ha pubblicato due album, “Virgin Ubiquity: Unreleased Recordings 1976-1981” e “Mahogany Vibes”, dimostrando che la sua creatività non si era affievolita. Il suo stile, che mescola jazz, funk, rock, soul e influenze latine, ha conquistato fans anche in Italia, dove nel dicembre 2017 ha tenuto concerti a Roma, Bologna e Milano, chiudendo un cerchio della sua incredibile carriera musicale.

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