Roma al centro della geopolitica: visita di JD Vance e negoziati sul nucleare iraniano

Roma ospita eventi cruciali per la geopolitica internazionale: la visita del vicepresidente americano JD Vance e il secondo round dei negoziati Usa-Iran sul programma nucleare, con misure di sicurezza straordinarie.
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Questo fine settimana, Roma diventa un importante palcoscenico per la geopolitica internazionale. La capitale italiana ospiterà due eventi significativi: la visita del vicepresidente americano JD Vance e il secondo round dei negoziati Usa-Iran sul programma nucleare. Questi appuntamenti si svolgeranno in un contesto di alta sicurezza, con misure speciali adottate per garantire l’ordine pubblico.

La visita del vicepresidente americano JD Vance

Roma si prepara ad accogliere il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, che arriverà a Ciampino venerdì mattina insieme alla moglie Usha. Questo viaggio coincide con le festività pasquali e prevede un intenso piano di sicurezza. Le autorità locali hanno predisposto misure straordinarie, tra cui tiratori scelti, zone aeree vietate e controlli approfonditi nelle aree interessate dagli incontri ufficiali.

L’agenda di Vance rimane riservata per motivi di sicurezza; tuttavia, è confermato un incontro con la premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi previsto per venerdì a pranzo. Meloni tornerà da una recente visita alla Casa Bianca dove ha incontrato Donald Trump. Durante il soggiorno romano, il vicepresidente avrà anche colloqui con altre figure istituzionali italiane come il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano.

Oltre agli impegni ufficiali, è probabile che Vance e sua moglie approfittino delle bellezze artistiche della città eterna visitando luoghi iconici come il Colosseo. Questa visita rappresenta non solo un momento diplomatico ma anche una opportunità per rafforzare i legami tra Italia e Stati Uniti in un periodo caratterizzato da tensioni internazionali.

Il secondo round dei negoziati sul nucleare iraniano

Sabato si svolgeranno a Roma i negoziati indiretti tra gli Stati Uniti e l’Iran riguardo al programma nucleare iraniano. L’incontro vedrà coinvolti l’inviato Usa Steve Witkoff e il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi presso l’ambasciata dell’Oman nella capitale italiana. Questa notizia è stata confermata dalla televisione statale iraniana che ha specificato come Oman fungerà da mediatore nei colloqui.

Inizialmente previsti in Oman stesso dopo una serie di annunci contrastanti da parte delle autorità iraniane, i colloqui sono stati spostati nuovamente a Roma su requesta dell’Iran stesso; questa decisione ha suscitato alcune critiche all’interno della diplomazia locale riguardo alla serietà delle intenzioni iraniane nel proseguire le trattative mentre era presente anche una figura così rilevante come quella del vicepresidente americano.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha ribadito sin dall’inizio la disponibilità dell’Italia ad ospitare questi incontri diplomatici senza ambizioni ulteriori se non quelle di fungere da ponte pacifico tra le parti coinvolte nel conflitto nucleare.

Le sfide dei negoziati

Il primo incontro tra Witkoff e Araghchi si era concluso senza progressi tangibili; entrambi avevano comunicato attraverso messaggi intermediari tramite Badr Albusaidi dell’Oman prima che ci fosse stato uno scambio diretto durante i colloqui precedenti tenutisi a Muscat. Questo nuovo round sarà caratterizzato da linee rosse ben definite dalle due parti ed è atteso in un clima generale di diffidenza reciproca.

Araghchi ha dichiarato chiaramente che mentre Teheran è disposta a costruire fiducia rispetto alle preoccupazioni internazionali sul suo programma nucleare, non intende compromettere sull’arricchimento dell’uranio – questione considerata non negoziabile dal governo iraniano. Dall’altra parte della tavola dei negoziati, Witkoff ha sottolineato l’intento degli Stati Uniti nel prevenire qualsiasi tentativo dell’Iran di dotarsi della capacità nucleare militare pur mantenendo aperta la possibilità per limitazioni sull’arricchimento fino al 3,67%, conforme all’accordo Jcpoa del 2015 abbandonato dall’amministrazione Trump in favore delle attuali politiche più restrittive.

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