Nel 2025, le questioni pensionistiche riguardanti le donne in Italia continuano a suscitare interesse e attenzione. Le normative attuali offrono opportunità di pensionamento anticipato, ma mettono anche in evidenza le persistenti disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro. L’intervista con Anna Maria Bilato, rappresentante del Collegio di presidenza dell’Inca, fornisce un’analisi dettagliata sulle regole e i requisiti per l’accesso alla pensione, evidenziando la complessità del sistema e le sfide che le lavoratrici devono affrontare.
Requisitos per la pensione anticipata e di vecchiaia
Le norme attualmente in vigore stabiliscono che le donne possono andare in pensione anticipata dopo 41 anni e 10 mesi di contributi, con una finestra di attesa di tre mesi. Per accedere alla pensione di vecchiaia, è necessario avere 67 anni di età accompagnati da almeno 20 anni di contributi. Il sistema contributivo consente un’ulteriore flessibilità, permettendo il pensionamento anticipato a 64 anni, purché si abbiano almeno 20 anni di contributi e che l’assegno maturato superi una certa soglia. È interessante notare che le madri beneficiano di un importo soglia ridotto, a favore di coloro che hanno uno o più figli.
Questi requisiti pensionistici si inseriscono all’interno di un contesto che, come sottolineato da Bilato, ha visto un’implementazione della misura “Opzione donna” nel 2004. Questo programma consente alle lavoratrici di ritirarsi prima, ma calcolando l’assegno esclusivamente con metodo contributivo. Per il 2025, per beneficiare di “Opzione donna“, le lavoratrici devono avere almeno 61 anni di età e 35 anni di contributi, rispondendo a criteri specifici di categoria.
Criticità della misura “Opzione donna”
Dal 2023, i requisiti richiesti per accedere a “Opzione donna” si sono resi più rigorosi, causando un calo significativo nel numero di pensioni liquidate. Passando da 21.300 nel 2021 a soli 4.784 nel 2024, questa misura ha mostrato di non essere la soluzione efficace per affrontare l’incremento dei requisiti pensionistici su cui ha inciso la riforma Fornero. Sebbene abbia chiaramente fornito una via di uscita per molte donne, i costi legati a questa scelta sono elevati. Bilato ha evidenziato che le perdite medie stimate per le beneficiarie di “Opzione donna” ammontano a circa 400 euro netti mensili, spesso per necessità di assistenza a familiari con disabilità.
In alcuni casi, la mancanza di opzioni ha obbligato molte donne a prolungare la loro vita lavorativa fino a raggiungere l’età della pensione di vecchiaia. Anche la misura dell’Ape sociale costituisce un’alternativa per anticipare la pensione, ma anche in questo caso l’accesso presenta difficoltà, dovute alla frammentarietà e instabilità dei percorsi lavorativi femminili.
Disuguaglianze persistenti nel mercato del lavoro
Nonostante gli articoli della Costituzione, che garantiscono parità di diritti e retribuzioni tra uomini e donne, la realtà del 2025 presenta un’Italia caratterizzata da disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro. La situazione delle donne sul mercato lavorativo è complessa: molti lavoratori scontano contratti part-time, spesso non per scelta, ma per necessità di avere un salario che li sostenga nella vita quotidiana. Nel Rendiconto di genere 2024 dell’Inps, viene confermato che, sebbene le donne rappresentino la maggioranza tra diplomati e laureati, le assunzioni nel mercato del lavoro rimangono ferme al 42,3%.
Anche per quanto riguarda le pensioni, si osserva che le donne superano i pensionati maschi numericamente , ma ricevono importi significativamente inferiori. Nel settore privato, le pensioni anticipate per le donne risultano più basse di circa il 25,5% rispetto agli uomini, e per le pensioni di vecchiaia il gap raggiunge addirittura il 44,1%. Le cause di queste disparità risiedono principalmente nella discontinuità lavorativa, nei contratti part-time e nei salari ridotti, che impattano direttamente sui contributi richiesti per l’assegno pensionistico.
La situazione nel settore pubblico e settori specifici
Nel settore pubblico, nonostante una maggiore presenza femminile, le donne continuano a essere sottorappresentate in posizioni dirigenziali. Anche se i requisiti previdenziali per le donne si sono quasi allineati a quelli degli uomini, le disuguaglianze di base rimangono. Analizzando settori specifici, emerge un quadro allarmante: nelle professioni legate al commercio, le donne guadagnano mediamente 75 euro all’ora, contro i 99 euro dei colleghi maschi; nel settore della sanità, il divario è simile, con 66 euro all’ora per le donne rispetto a 87 euro per gli uomini.
Questa situazione ha ripercussioni dirette sulle forme di sostegno al reddito, come la Naspi, di cui le donne sono le maggiori utilizzatrici. Nonostante si trovino in una posizione di maggior utilizzo, l’importo dell’indennità percepita è inferiore rispetto a quello dei maschi, dovendo anche questo dipendere dalla retribuzione effettiva. Infatti, le donne ricevono mediamente 986 euro mensili, mentre gli uomini percepiscono 1145 euro.
La relazione del Civ Inps mostra chiaramente che le difficoltà continue nel settore pensionistico richiedono un’attenzione più incisiva. Il numero di donne pensionate è significativamente superiore a quello degli uomini, e gli importi medi dei trattamenti pensionistici confermano le disuguaglianze: le donne percepiscono 1.752 euro per le pensioni anticipate rispetto ai 2.350 euro degli uomini, mentre per la pensione di vecchiaia, le donne ricevono solo 760 euro rispetto a 1.359 euro degli uomini. Necessitando di un intervento volto a garantire pari opportunità e condizioni più eque, il percorso deve passare attraverso la centralità del lavoro, promuovendo opportunità occupazionali e garantendo che i diritti stabiliti dalla Costituzione vengano attuati in modo efficace.