Cobra Kai 6 - parte 3 Cobra Kai è una splendida riflessione sulle difficoltà dell'essere un figlio che diventa padre - Socialmedialife.it
Mettiamo da parte le controversie legate alle strategie commerciali di Netflix, che ha scelto di suddividere la sesta stagione di Cobra Kai in due parti, suscitando malcontento tra gli abbonati. Questa stagione finale, attesa con grande entusiasmo, ha suscitato discussioni e polemiche, ma ora è il momento di riflettere su un viaggio iniziato nel 2018, grazie all’idea innovativa di Hayden Schlossberg e Jon Hurwitz. Questi creatori hanno riportato in auge una delle saghe cinematografiche più amate degli anni Ottanta, risvegliando l’affetto di chi ha vissuto quegli anni e attirando un nuovo pubblico, spesso composto da giovani che hanno scoperto le avventure di Daniel LaRusso attraverso i racconti dei genitori.
Per comprendere appieno l’evoluzione della serie, è necessario fare un breve riepilogo degli eventi recenti.
La seconda parte della sesta stagione di Cobra Kai si era conclusa con un drammatico colpo di scena. Il torneo Sekai Taikai, che avrebbe dovuto rappresentare il culmine della rivalità tra i dojo, si è trasformato in un evento tragico, segnato dalla morte di Kwon. Durante una rissa che ha coinvolto tutti i partecipanti, il capitano dei Cobra Kai ha avuto un tragico incidente, cadendo sull’eunjangdo di John Kreese mentre cercava di affrontare Axel Kovačević, il capitano degli Iron Dragons.
Ora, i protagonisti devono affrontare le conseguenze di questo evento devastante. Ognuno di loro si confronta con il senso di colpa, il fallimento nel loro ruolo di sensei e la perdita di opportunità per il futuro, come l’accesso al college. Le questioni personali rimangono delicate e non possono essere svelate, ma è evidente che l’atmosfera è tesa e carica di emozioni.
Nonostante il Sekai Taikai sembri ormai un capitolo chiuso, la serie ha ancora cinque episodi da offrire. È chiaro che ci sono possibilità per una ripresa, e la competizione tra i dojo è pronta a ripartire, promettendo nuovi sviluppi e confronti.
Hollywood ha sempre avuto una predilezione per i marchi consolidati, e Cobra Kai non fa eccezione. La serie ha saputo riprendere le fila di una storia che sembrava conclusa, escludendo il quarto capitolo del 1994 con Hilary Swank. Fino all’arrivo di Cobra Kai, il franchise era rimasto in una sorta di limbo, ma ora anche il film del 2010, con Jackie Chan e Jaden Smith, è diventato parte integrante della narrazione.
La serie ha dimostrato un’intelligenza notevole nel risvegliare l’interesse per una storia che sembrava dimenticata. Tuttavia, la vera lezione che Cobra Kai offre a chi lavora nel settore della narrazione cinematografica e televisiva va oltre i semplici rimandi nostalgici. La serie ha saputo sviluppare in modo coerente e profondo il tema della paternità, sia biologica che putativa. Daniel LaRusso e Johnny Lawrence, ora padri, devono affrontare le sfide legate alla loro crescita personale e alle relazioni con i loro allievi, riflettendo sulle esperienze vissute da ragazzi.
La complessità di diventare genitori, in particolare senza aver risolto le questioni irrisolte con i loro vecchi sensei, aggiunge un ulteriore strato di difficoltà. Cobra Kai riesce a trasformare una semplice storia di combattimenti in una narrazione profonda e significativa, chiudendo un ciclo iniziato oltre quarant’anni fa con un film che merita il titolo di “leggendario”.