Myanmar: una nazione in crisi tra guerra civile e necessità umanitaria

La situazione in Myanmar è drammatica, il Paese sta pagando un prezzo altissimo dopo il colpo di Stato militare che ha reso difficile la vita quotidiana per milioni di cittadini. Nel 2025, oltre 20 milioni di abitanti, più di un terzo della popolazione, avrà bisogno di assistenza umanitaria. Questo quadro complesso è il risultato di un conflitto civile in corso che ha causato la morte di più di 6.300 persone, aggravando ulteriormente una condizione già critica.

Un panorama frammentato quattro anni dopo il colpo di Stato

Quattro anni dopo il colpo di Stato del primo febbraio 2021, in cui il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi è stato deposto, il Myanmar si presenta come un territorio estremamente frammentato. Secondo gli esperti, tra cui Matteo Fumagalli, docente di relazioni internazionali all’Università di St. Andrews, le conseguenze politiche, economiche e sociali della guerra civile si fanno sentire in tutte le regioni del Paese. In vista delle elezioni generali annunciate dalla giunta militare per fine anno, il generale Min Aung Hlaing ha delineato un contesto in cui i militari controllano attualmente solo il 40-45% del territorio.

Le elezioni, un tema delicato, sono state già promesse più volte. La Costituzione birmana del 2008 prevede che si svolgano entro sei mesi dalla revoca dello stato di emergenza, ma questa è stata frequentemente prorogata. Fumagalli mette in guardia: sebbene la giunta si prepari a svolgere le elezioni, le aree nelle quali si riuscirebbe a garantire una consultazione sono limitate. La legge del 2023, che esclude i partiti di opposizione, pone ulteriori dubbi sulla legittimità del voto.

La guerra civile: conflitti e resistenza armata

Il conflitto tra l’esercito birmano e le milizie etniche ha raggiunto livelli devastanti. La resistenza popolare dopo il colpo di Stato ha alimentato vari gruppi armati dislocati nel territorio, complicando ulteriormente la già precaria stabilità del Paese. Svariati leader del partito della Lega Nazionale per la Democrazia, insieme a Aung San Suu Kyi, sono sotto arresto, mentre il Premio Nobel per la Pace sta scontando una lunga detenzione.

Fumagalli evidenzia: non esiste una singola opposizione al regime, poiché la situazione sul campo è complessa, caratterizzata da diversi focolai di conflitto. Negli ultimi anni, una coalizione di gruppi etnici ha acquisito forza, l’Arakan Army, ad esempio, controlla oltre l’80% dello stato del Rakhine, dove ha istituito strutture per fornire servizi essenziali alla popolazione. Altre organizzazioni, come l’Esercito dello Stato Unito Wa, continuano a operare nel paese, complicando ulteriormente gli sforzi per una pacificazione reale.

Attori internazionali e mediazione

In questo contesto di crimini e ferite non rimarginate, diversi Paesi hanno cominciato a muoversi per cercare una mediazione. La Cina ha recentemente tentato di facilitare un accordo di cessate-il-fuoco tra la giunta e un movimento armato attivo nel nord-est del Paese. Pechino, infatti, ha forte interesse economico nella regione e teme che una situazione instabile possa compromettere i propri piani. Dall’altra parte, la Russia sostiene apertamente la giunta birmana, ma è attualmente occupata con i suoi problemi geopolitici in Ucraina.

Mentre il panorama diplomatico si disegna, l’Occidente sembra essere più distante, con le sanzioni che non hanno portato ai risultati sperati. La mancanza di un intervento decisivo alimenta un clima di incertezza, dove i civili continuano a essere i più colpiti.

Emergenza umanitaria: la richiesta di aiuto internazionale

Il quadro umanitario del Myanmar è allarmante: più di 6.300 morti, 3,5 milioni di sfollati e circa 20 milioni di persone in cerca di aiuto nel 2025. La faida tra le varie fazioni e i continui combattimenti hanno trasformato la vita di milioni di cittadini in una lotta per la sopravvivenza quotidiana. Anche Papa Francesco ha espresso la sua preoccupazione per la situazione, sottolineando la necessità di mantenere alta l’attenzione sulla crisi e invocando il dono della pace.

La pandemia, unita all’instabilità politica e alla guerra, ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita. Sebbene le emergenze alimentari siano reali e quotidiane per molti, la mancanza di fondi e strutture nel sistema umanitario complica la risposta globale al bisogno. Le agenzie di cooperazione internazionale, come quella degli Stati Uniti, stanno riducendo il loro impegno, lasciando un vuoto ben visibile in un Paese già in difficoltà.

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