Il carcere di Opera, nei pressi di Milano, accoglie un progetto artistico che si propone di unire il mondo esterno a quello della detenzione. Un murale di 60 metri, frutto del lavoro di una decina di detenuti vicini al termine della pena, viene realizzato con la supervisione dell’artista Carlo Galli. Intitolato “Superfici dell’Immaginazione”, il progetto è stato presentato presso la Pinacoteca di Brera, che ha guidato e supportato l’iniziativa, ideata dal presidente dell’ente no profit Artamica APS, Alessandro Pellarin.
Un’occasione di reinserimento sociale
Il gruppo di detenuti partecipa attivamente a questa iniziativa grazie all’Articolo 21, che consente loro di uscire dall’istituto penitenziario per motivi di lavoro o progetti di reinserimento, con la condizione di rientrare ogni sera. Questo progetto non solo permette loro di esprimere la propria creatività, ma anche di confrontarsi con l’arte per un ulteriore avvicinamento alla società. Insieme al direttore generale della Pinacoteca di Brera, Angelo Crespi, i partecipanti hanno anche visitato la storica istituzione culturale, dove torneranno per presentare il frutto del loro lavoro il 26 maggio.
Inaugurazione dell’opera e impatto culturale
L’inaugurazione del murale è prevista per il 20 maggio. L’obiettivo di questa iniziativa artistica è quello di ridurre le distanze tra i detenuti e il mondo esterno, creando un dialogo visivo che possa far entrare la bellezza all’interno delle mura del carcere. Angelo Crespi ha evidenziato come la bellezza rappresenti un valore non solo estetico, ma anche etico, in grado di influenzare positivamente il comportamento di chi vi prende parte. Questo progetto, attraverso l’arte pubblica, intende promuovere inclusività e resilienza, trasformando un laboratorio in un’opera accessibile a tutti.
L’arte optical come simbolo di trasformazione
Il murale che si sta sviluppando è ispirato all’arte optical degli anni ’60, caratterizzato da strisce bianche e nere che creano un effetto di movimento. Questa scelta stilistica non è casuale, poiché riflette una riflessione profonda sulla percezione del tempo vissuta all’interno del carcere. Le ore qui possono sembrare elastiche, sovrapponendosi e dilatandosi in un’esperienza di attesa e sospensione. L’opera diventa così un linguaggio visivo che rappresenta non solo la condizione di detenzione, ma anche il percorso di vita dei detenuti, le cui storie si intrecciano e si allungano attraverso le linee e le forme disegnate sul muro.
Il murale non è quindi solo un’opera d’arte, ma un mezzo attraverso cui i detenuti possono esprimere le proprie esperienze e riflessioni, trasformando un contesto di disagio in un messaggio di speranza e rinascita.