Un nuovo documentario di Netflix, intitolato “De rockstar à tueur : Le cas Cantat“, esplora l’omicidio dell’attrice francese Marie Trintignant avvenuto nel 2003 per mano del compagno Bertrand Cantat. Questo lavoro in tre episodi non solo rivisita la tragedia che ha colpito la Francia, ma invita anche a riflettere sul cambiamento della percezione della violenza domestica nel corso degli anni.
La tragedia che ha scosso la Francia
Nel luglio del 2003, Bertrand Cantat era al vertice della sua carriera musicale come frontman dei Noir Désir, una delle band rock più amate del Paese. Marie Trintignant, attrice affermata con un curriculum di oltre quaranta film e cinque nomination ai César, si trovava a Vilnius per girare un film diretto dalla madre. La notte tra il 26 e il 27 luglio scoppiò una lite tra i due a causa di un messaggio ricevuto dall’ex compagno dell’attrice. Durante questo alterco, Cantat colpì Trintignant con diciannove pugni.
Dopo l’aggressione, l’attrice rimase priva di sensi per ore senza ricevere assistenza medica e entrò in coma. Morì il primo agosto dello stesso anno. Questo omicidio ha rappresentato un evento senza precedenti nella cronaca francese poiché coinvolgeva due figure pubbliche molto conosciute.
La giornalista Anne-Sophie Jahn sottolinea come questo caso abbia avuto risonanza nazionale e internazionale proprio per le identità delle persone coinvolte. L’opinione pubblica fu profondamente scossa dall’accaduto e da come fosse possibile che una tale violenza potesse verificarsi tra due celebrità.
Il ruolo dei media nella narrazione dell’omicidio
Il documentario mette in evidenza come i media abbiano trattato la morte di Marie Trintignant all’epoca dei fatti. Nel 2003 non esisteva ancora una consapevolezza diffusa riguardo al concetto di femminicidio; infatti, quel termine sarebbe entrato nel dizionario francese solo nel 2015. Gli articoli giornalistici parlavano prevalentemente di “crime passionnel“, enfatizzando le presunte fragilità emotive sia della vittima che dell’aggressore.
Cantat venne descritto da alcuni media come una persona tormentata dai propri demoni interiori piuttosto che come un aggressore violento. Anche amici e familiari del cantante contribuirono a questa narrazione presentando Trintignant sotto una luce negativa: veniva descritta come instabile o addirittura “isterica“. Questa visione distorta è oggi considerata inaccettabile ed è oggetto di critica nei confronti dei mezzi d’informazione dell’epoca.
La storia poco conosciuta di Krisztina Rády
Uno degli episodi più significativi del documentario riguarda Krisztina Rády, ex moglie di Bertrand Cantat e madre dei suoi figli. Dopo la separazione dal cantante, Rády aveva testimoniato durante il processo affermando che lui non era mai stato violento nei suoi confronti; questa testimonianza contribuì alla condanna relativamente leggera inflitta a Cantat: otto anni per omicidio con intento indiretto.
Tuttavia, gli eventi successivi hanno rivelato una realtà ben diversa rispetto alla facciata presentata durante il processo: Rády tornò insieme a Cantat dopo la sua liberazione anticipata ma visse un rapporto segnato da gelosie ossessive e controlli costanti fino al suo suicidio avvenuto nel 2010. Documentazioni emerse successivamente suggeriscono chiaramente che lei subì abusi anche dopo aver lasciato Cantat; messaggi vocali ai genitori ed altri elementi raccolti nella serie confermano questa triste verità.
Il racconto suggerisce anche l’ipotesi secondo cui Rády potrebbe aver testimoniato sotto pressione per proteggere l’immagine della band Noir Désir all’apice della loro popolarità.
Tentativi falliti di ritorno sulla scena musicale
Negli anni seguenti all’omicidio e alla condanna penale ricevuta da Bertrand Cantat ci sono stati diversi tentativi da parte sua di ritornare sulla scena musicale con progetti nuovi o riformati; uno fra tutti è stato Détroit, gruppo fondato dopo lo scioglimento dei Noir Désir grazie ad oltre duecentomila euro raccolti tramite crowdfunding per realizzare un album nuovo.
Tuttavia ogni apparizione pubblica suscitava sempre più indignazione soprattutto nell’ambito post-#MeToo dove le sensibilità verso temi legati alla violenza sulle donne erano aumentate notevolmente rispetto agli inizi degli anni Duemila. Un episodio significativo si è verificato nel 2017 quando la rivista Les Inrockuptibles dedicò una copertina a lui provocando proteste diffuse fra lettori ed attivisti contro qualsiasi forma d’apologia nei confronti del cantante accusato d’omicidio; ciò portò infine ad ufficializzare delle scuse pubbliche dalla redazione stessa verso chi si sentiva offeso dalla scelta editoriale effettuata.
Oggi “De rockstar à tueur” offre uno spunto importante affinché magistrati ed esperti possano riflettere su quanto accaduto allora: Philippe Laflaquière – giudice responsabile della libertà vigilata concessa a Cantat – ha ammesso recentemente errori commessi nella valutazione complessiva riguardante i rischi associati alle sue azioni passate.