Il 7 maggio si svolgerà la cerimonia di premiazione dei David di Donatello, uno degli eventi più attesi nel panorama cinematografico italiano. Tra i candidati per il premio come Miglior Film ci sono quattro lungometraggi e una serie, tutti già disponibili nelle sale o su piattaforme streaming. Quest’anno è particolare perché tre dei cinque titoli in gara sono diretti da donne, un segnale positivo per la rappresentanza femminile nel settore.
Berlinguer – La grande ambizione
Diretto da Andrea Segre e interpretato da Elio Germano ed Elena Radonicich, “Berlinguer – La grande ambizione” esplora la vita e l’eredità politica di Enrico Berlinguer. Il film si concentra su un periodo cruciale della sua carriera, dal 1973 al 1978, quando tentò di realizzare il “compromesso storico”, una proposta che mirava a creare un’alleanza tra il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana .
Segre riesce a ritrarre Berlinguer non solo come un politico ma anche come uomo complesso che sfidò le convenzioni del suo tempo. La narrazione combina elementi di fiction con materiale d’archivio inedito grazie al lavoro del ricercatore Daniele Ongaro. Attraverso scene intime che mostrano Berlinguer nella sua vita privata con famiglia e amici, emerge una figura umana profonda anziché un semplice simbolo politico.
Elio Germano offre una performance intensa che va oltre l’imitazione superficiale; riesce a catturare l’essenza dell’intelligenza e della visione politica di Berlinguer. Il film invita lo spettatore a riflettere sulla natura della politica italiana degli anni ’70, evidenziando le sfide affrontate da chi cercava soluzioni pacifiche in tempi turbolenti.
L’arte della gioia
Valeria Golino dirige “L’arte della gioia”, adattamento dell’opera omonima scritta negli anni Settanta da Goliarda Sapienza. Questa serie in sei episodi racconta le avventure di Modesta, una giovane donna che vive esperienze estreme tra patriarcato e libertà personale.
Modesta è descritta come una figura complessa: non è né vittima né eroe convenzionale ma piuttosto un personaggio audace che infrange le norme sociali del suo tempo. Golino affronta questo materiale con serietà artistica; la sceneggiatura è co-scritta con altri autori ed è accompagnata dalle musiche evocative di Toti Guarino.
La regista dimostra padronanza sia nella narrazione visiva sia nella caratterizzazione dei personaggi attraverso scelte stilistiche audaci e innovative. L’approccio alla storia consente allo spettatore di immergersi completamente nell’universo emotivo delle protagoniste femminili senza cadere nei cliché tipici delle produzioni contemporanee.
Il tempo che ci vuole
Francesca Comencini presenta “Il tempo che ci vuole”, un’opera autobiografica dove esplora il legame tra lei stessa e suo padre Luigi Comencini, noto regista scomparso nel 2007. Questo film racconta momenti significativi della loro relazione attraverso gli occhi dell’infanzia fino all’adolescenza.
La struttura narrativa si sviluppa attorno a due appartamenti essenziali situati a Roma e Parigi dove avvengono interazioni familiari profonde ma anche conflittuali man mano che Francesca cresce. Le scene evocative mostrano momenti chiave del loro rapporto mentre lei naviga tra ribellione giovanile ed affetto paterno.
Comencini utilizza abilmente flashback per ricreare atmosfere nostalgiche senza risultare melensa; ogni sequenza sembra essere intrisa dalla volontà sincera di onorare la memoria paterna pur mantenendo uno sguardo critico sulla propria crescita personale all’interno del contesto tumultuoso degli anni ’70 italiani.
Parthenope
Paolo Sorrentino torna sul grande schermo con “Parthenope”, presentando Napoli attraverso gli occhi della gioventù moderna mescolata ad elementi mitologici classici. Con Celeste Dalla Porta nei panni principali insieme ad attori noti come Gary Oldman ed Isabella Ferrari, Sorrentino costruisce un racconto visivamente ricco dove ogni scena diventa quasi pittorica nell’intento narrativo.
Il film esplora tematiche universali legate alla giovinezza perduta mentre riflette sull’identità culturale napoletana attraverso dialoghi incisivi ed immagini suggestive tipiche dello stile distintivo del regista campano. Nonostante alcune critiche riguardanti il ritmo narrativo lento rispetto alle sue opere precedenti, “Parthenope” offre spunti interessanti sul contrasto fra passato glorioso e presente incerto tramite personaggi ben delineati nelle loro fragilità umane.
Vermiglio
Infine c’è “Vermiglio” diretto da Maura Delpero ambientato durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale in un villaggio montano omonimo dove i conflitti bellici rimangono sullo sfondo mentre emergono storie personali intense legate all’amore proibito tra Pietro -un disertore- ed una giovane ragazza locale appartenente ad una famiglia numerosa dominata dall’autoritarismo paterno.
Delpero crea uno spazio cinematografico contemplativo capace d’incapsulare tensione emotiva senza forzature narrative evidenti; i silenzi parlano tanto quanto i dialoghi stessi creando atmosfere cariche d’intensità drammatica pur mantenendo sempre viva l’essenza quotidiana dei suoi protagonisti.
Questo film ha ricevuto riconoscimenti importanti al Festival Internazionale del Cinema Venezia dimostrando così capacità artistiche notevoli unite ad originalità narrativa capace d’affascinare pubblico eterogeneo.
Questi cinque titoli rappresentano non solo diversi aspetti dell’esperienza umana ma anche voci diverse nel panorama cinematografico italiano contemporaneo.
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