Facebook ficca il naso anche in contenuti che non postiamo

Il tracking degli utenti non si ferma alle preferenze e ai Mi Piace, ma si spingerebbe addirittura a tutto ciò che scriviamo sul social network anche se poi lo cancelliamo e non lo postiamo.
Ormai è cosa risaputa che Facebook ama ficcare il naso nei nostri fatti personali. D’altro canto, siamo noi a creare il pretesto per farci notare, postando i nostri contenuti, post, foto, video, giochi etc. sul social network in blu. Come Google ci scruta per bombardarci di messaggi pubblicitari, lo stesso fa Facebook per sorreggersi economicamente e così poter continuare a illustrare sulla homepage la scritta “Facebook è gratis e lo sarà per sempre“. Ma è a dir poco spaventoso che Facebook potesse giungere addirittura a tracciare i contenuti abbozzati, quelli che chiunque per un sentimento di autocensura decide spesso di non pubblicare sulla piattaforma.
In sostanza il social network registra ogni digitazione dell’utente nei form del sito. Inclusi gli stati giù, digitati magari d’impulso, dopo aver appreso una notizia particolarmente importante o con l’intenzione di indirizzarci a qualcuno di preciso, e che poi cancelliamo per quieto vivere cibernetico o perché non vogliamo generare l’ennesimo dibattito online.
Questo intervento di controllo, menzionato in modo ben nascosto nelle Condizioni d’uso e dunque non una novità assoluta, è stato messo in evidenza da una ricerca battezzata “Self-censorship on Facebook” del ricercatore Adam Kramer, data scientist proprio per Menlo Park, e da Sauvik Das, dottorando alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh. Lo studio in questione, non era destinato esattamente a questo obiettivo, ma era destinato a capire l’aspetto sociologico di questo frequente atteggiamento di autocensura che sfoderiamo sul sito di Mark Zuckerberg, ormai nostra piazza virtuale quotidiana.
Non di rado vi sono commenti, post, stati su cui lavoriamo, magari ci pensiamo un bel pò, li ceselliamo all’infinito, e che poi alla fine non pubblichiamo: secondo la ricerca il 71% degli utenti ha digitato almeno uno di questi contenuti senza averlo poi postato. Il 51% ha cancellato quasi quattro post e mezzo mentre il 44% ha rimaneggiato più di tre commenti, per poi decidere di non pubblicarli. A quanto pare sono maggiormente gli uomini, che contano un elevato numero di contatti femminili fra gli amici, a censurarsi. Ma vale anche l’opposto: le donne con molti amici maschi. In generale chi ha cerchie di contatti molto varie sia per genere che per tipologia socioculturale tende a essere più attento a ciò posta. Tali utenti gestiscono i contenuti in modo che non urtino la sensibilità di audience molto eterogenee fra loro. Il livello d’allerta, inoltre, sale al massimo quando si sa che gli interventi potrebbero essere letti anche dal proprio datore di lavoro o da contatti più anziani.
Kramer e Das hanno impiegato oltre due settimane a studiare aggiornamenti di stato poi eliminati, pubblicazioni sulle bacheche altrui e commenti ad altri status. Ne è risultato che si censura molto sia i post destinati a una audience molto ampia, come gli aggiornamenti di stato, così come interventi diretti a target precisi, come i gruppi.
Ma veniamo al dunque: perché Facebook sarebbe interessata a tracciare questi dati? Evidentemente perchè l’anima di Facebook, prima ancora della pubblicità, sono gli utenti. L’idea che gli utenti stiano viaggiando verso un uso più consapevole del mezzo non è una buona notizia per il quartier generale di Facebook. La coppia di ricercatori ha infatti notato un fatto elementare. E cioè che il social network “perde valore dalla carenza di contenuti generati” dalle persone. Ecco perché le informazioni, sui post abortiti, vengono memorizzate: servono a creare nuovi modi per spingere la gente a scrivere, condividere, pubblicare. In fondo è l’utenza stessa a muovere Facebook. Chissà, magari suggerendoci in futuro come completare un certo intervento, in stile Google.
Non è un caso d’altronde, come ha rivelato il Wall Street Journal un paio di mesi fa, che Facebook stia testando nuove soluzioni in ambito analytics: sempre più dati degli utenti, e sempre più raffinati, finiranno per essere passati al setaccio. Fra questi, per esempio, anche la durata del passaggio del mouse su una certa sezione del sito.
Attraverso questo lavoro siamo arrivati a capire meglio come e dove si manifesta l’autocensura degli utenti – concludono i ricercatori – bisogna adesso chiarire con certezza perché e cosa scelgono di non pubblicare.
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Viene spontaneo chiedersi: se i contenuti che postiamo sono alla portata di tutti e quelli che scriviamo e cancelliamo vengono comunque tracciati, resterà un limite di segreto almeno in ciò che pensiamo di scrivere, prima ancora dell’atto del mettere per iscritto, oppure dobbiamo pensare che nel fatidico “What’s on your mind?” Facebook stia aspirando a tracciare persino i nostri pensieri?
Aldo Palo