L’agroalimentare italiano si trova ad affrontare una sfida significativa a causa dei recenti sviluppi nella politica commerciale degli Stati Uniti. I dazi minacciati dall’amministrazione Trump, in vigore dal 2 aprile, rappresentano una seria preoccupazione per i produttori italiani, con conseguenze dirette sulle esportazioni. Le donne e gli uomini del comparto agroalimentare temono di dover affrontare perdite di ingenti dimensioni, specialmente nelle regioni dove il mercato americano rappresenta una fetta considerevole dell’export. Questo articolo esplora le implicazioni di questo contesto commerciale, focalizzandosi su prodotti e regioni più a rischio.
Le regioni italiane più esposte ai dazi
L’analisi condotta dalla Confederazione Italiana Agricoltori ha evidenziato le regioni italiane più suscettibili all’impatto dei nuovi dazi. Sardegna e Toscana emergono come le aree più vulnerabili. In Sardegna, la percentuale di esportazione agroalimentare verso gli Stati Uniti è impressionante, con il 49% delle vendite facenti capo al mercato americano. Questo dato è particolarmente preoccupante considerando che sull’isola si produce oltre il 90% del Pecorino Romano DOP; il 74% delle esportazioni di prodotti lattiero-caseari sardi finisce negli USA.
In Toscana, la situazione non è meno allarmante: il 28% dell’export agroalimentare è diretto verso gli Stati Uniti, con l’olio extra vergine d’oliva e i vini che dominano le vendite. Nel Lazio, gli oli d’oliva registrano un 58% di esportazioni verso gli Stati Uniti, mentre Abruzzo e Campania vedono rispettivamente il 28% delle loro vendite di pasta e vini destinati a questo mercato. In sostanza, i dazi americani metterebbero a dura prova le esportazioni agroalimentari del Centro e Sud Italia, provocando perdite economiche potenzialmente devastanti.
I prodotti agroalimentari a rischio
Nell’approfondire quali siano i prodotti del Made in Italy più minacciati dai dazi, emergono alcune categorie che poggiano fortemente sulle vendite americane. Il sidro di mele rappresenta una nicchia con un’alta esposizione, dato che il 72% delle sue esportazioni è destinato agli Stati Uniti, pari a un valore di circa 100 milioni di euro. Un altro prodotto chiave è il Pecorino Romano, il quale, nonostante rappresenti solo una fetta del mercato, ha una quota del 56% delle vendite totali indirizzate verso gli USA, traducendosi quasi in 135 milioni di euro. Un incremento dei dazi potrebbe dunque spingere i consumatori americani a considerare alternative locali, danneggiando ulteriormente l’export italiano.
Anche il vino italiano appare vulnerabile in questo scenario. Con un fatturato di circa 1,8 miliardi di euro nel 2024, il mercato americano è cruciale per un’ampia varietà di vini, dai bianchi del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia, fino ai rossi toscani e piemontesi. Con tariffe che mettono a rischio queste esportazioni, i produttori italiani potrebbero affrontare una concorrenza agguerrita da parte di vini di altre nazioni.
L’impatto sugli altri settori agroalimentari
Non solo formaggi e vini sono a rischio; anche altre categorie di prodotti beneficerebbero di un’analisi attenta. L’olio extravergine d’oliva italiano è in una posizione delicata, poiché il mercato americano rappresenta il 32% dell’export totale. La vendita di acque minerali e liquori, rispettivamente con il 28% e il 25% di esportazioni dirette negli Stati Uniti, ne evidenzia ulteriormente l’importanza. Un attacco ai mercati americani potrebbe quindi ridurre le opportunità economiche per molti produttori, rendendo non solo difficile la concorrenza, ma anche i finanziamenti a lungo termine per il settore.
Al contrario, prodotti come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano appaiono relativamente meno vulnerabili, con una quota del 17% del valore esportato. Tuttavia, anche per questi formaggi, il segnale di eventuali tariffe può segnalare un possibile riflesso sulle vendite future. Stessa sorte vale per pasta e prodotti da forno, che comunque costituiscono una parte importante dell’export italiano.
Le dichiarazioni della CIA e il futuro dell’export agroalimentare
Cristiano Fini, presidente della CIA, ha sottolineato l’urgenza di un’azione diplomatica forte per affrontare la situazione in corso. L’export agroalimentare verso gli Stati Uniti ha registrato un incremento del 158% negli ultimi dieci anni, facendo di questo mercato il secondo più significativo per il Made in Italy. La necessità di un negoziato con l’amministrazione Trump diventa cruciale poiché le esportazioni italiane verso gli USA rappresentano l’11,6% dell’export agroalimentare totale. Questi dati mettono in evidenza il rischio a cui sono esposti i produttori italiani nel caso non si riesca a evitare l’impatto dei dazi.
Fini ha esortato il governo italiano a prendersi il ruolo da protagonista nel creare condizioni favorevoli per contrastare l’eventualità che i dazi possano dare vita a una crisi economica per molti settori, così come l’invasione di prodotti “Italian sounding” che minacciano di intaccare il mercato italiano storico. La risposta alle nuove sfide commerciali diventa quindi cruciale per garantire la sostenibilità del settore agroalimentare, patrimonio di eccellenza nel mondo.