Cambiamenti nel welfare aziendale: la nuova ricerca svela dinamiche tra felicità e lavoro

Il welfare aziendale è percepito come utile per la felicità professionale, ma non sufficiente a motivare cambiamenti. La soddisfazione lavorativa varia tra generazioni e professioni, evidenziando nuove tendenze nel mercato del lavoro.
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Il tema del welfare aziendale sta attraversando un momento di trasformazione rilevante, come dimostra l’ultimo report dell’Osservatorio Benessere Felicità, condotto con il supporto di Up day. Lo studio rivela che sei lavoratori su dieci considerano utile il welfare aziendale per la loro felicità professionale, mentre il 45% lo riconosce come una componente di benessere interno all’azienda. Tuttavia, molti non lo vedono come un fattore sufficiente a motivarli a cambiare. In un contesto in cui l’Italia sembra meno soddisfatta rispetto al 2024, con un punteggio medio di 3.09 su 5 rispetto al precedente 3.24, questa indagine fa emergere interessanti tendenze tra generazioni e professioni.

La percezione della felicità al lavoro tra generazioni

Nel rispondere alla domanda su quanto si sentano felici nel loro lavoro, le donne superano leggermente gli uomini, ottenendo un punteggio medio di 3.28 contro 3.23. Tra le diverse generazioni, la Generazione Z spicca con un punteggio di 3.34, seguita dai Baby Boomers a 3.31, dai Millennials a 3.27, e dalla Generazione X a 3.21. Questi numeri evidenziano una percezione differente della felicità lavorativa a seconda dell’età e dell’esperienza. Alcuni esperti suggeriscono che i giovani tendano a valorizzare maggiormente la flessibilità e le opportunità di crescita professionale, mentre le generazioni più mature possano essere influenzate da fattori come la stabilità e il riconoscimento economico.

Tendenze nel mercato del lavoro: il rallentamento della grande rinuncia

L’indagine ha rivelato un lieve rallentamento della così chiamata “great resignation”, con quasi il 60% dei rispondenti che non desiderano cambiare posto di lavoro nei prossimi dodici mesi, un aumento rispetto al 55% del 2024. La percentuale di chi vorrebbe cambiare azienda rimane stabile al 24%, mentre scende al 17% quella di chi desidera cambiare professione, inferiore rispetto al 21% dell’anno precedente. Ciò suggerisce una maggiore stabilità nel mercato del lavoro, con i lavoratori che potrebbero essere più propensi a cercare miglioramenti all’interno delle loro attuali posizioni piuttosto che tentare nuove esperienze.

Welfare aziendale: da valore aggiunto a necessità

Le motivazioni che spingono i lavoratori a scegliere un nuovo posto di lavoro vedono al primo posto l’aspettativa di uno stipendio maggiore, che è cresciuta dal 42% al 48%. Al di sopra delle aspettative di flessibilità e opportunità di crescita, il welfare aziendale si colloca in una posizione in calo, scendendo dal 17% al 13%. Questi dati comunicano un cambiamento significativo nella percezione del welfare, che non è più visto come un vantaggio sufficiente per attrarre talenti, ma piuttosto come un’opzione secondaria rispetto a garanzie economiche più solide.

La felicità nel lavoro: dipendenti e autonomi a confronto

Un altro dato interessante è che gli autonomi si dichiarano più soddisfatti del loro lavoro rispetto ai dipendenti, con un punteggio medio di 3.40 contro 3.22. Anche il titolo di studio gioca un ruolo cruciale, con i laureati che tendono a riportare punteggi superiori rispetto a chi non ha conseguito un titolo universitario . Questi risultati indicano che le condizioni di lavoro e il livello di scolarizzazione influiscono sulle sensazioni di gioia all’interno dell’ambiente lavorativo. Un altro aspetto da considerare è come le diverse generazioni interpretono il concetto di welfare; i Millennials, per esempio, considerano la sua rilevanza per la felicità sul posto di lavoro con un punteggio di 3.66, più elevato rispetto alle altre generazioni.

Riflessioni sul futuro del welfare aziendale

Mariacristina Bertolini, vice presidente e direttore generale di Up day, ha evidenziato come il welfare non possa più essere visto come un semplice pacchetto di benefit, ma deve evolvere in un modello che tenga conto delle esigenze reali dei lavoratori. La ricerca ha rivelato che solo il 34% delle persone considera i servizi di welfare un fattore determinante per la scelta di un’azienda, mentre il 45% li percepisce come parte integrante del benessere sul lavoro. Sorprendentemente, solo il 10% degli intervistati afferma che la propria azienda promuove programmi di supporto al caregiving.

Un numero significativo di intervistati, il 18%, ha dichiarato che nella propria azienda non vengono erogati alcun beneficio, evidenziando una possibile lacuna di offerta nel welfare aziendale italiano. Gli esperti concordano sul fatto che vi sia bisogno di un ripensamento del welfare; questo non dovrebbe limitarsi ai buoni pasto e ai rimborsi, ma dovrebbero entrare in gioco iniziative più complesse e coordinate che tengano conto delle diverse fasi della vita lavorativa e delle necessità dei dipendenti.

Un’indagine dettagliata su un campione rappresentativo

Per realizzare lo studio, sono state condotte 1.000 interviste, selezionando un campione che riflettesse diverse variabili, come la situazione territoriale , le dimensioni della città, il genere, e le generazioni. Sono stati considerati anche i tipi di contratto di lavoro, le fasce di reddito e il titolo di studio. Questo approccio ha permesso di raccogliere dati significativi e rappresentativi delle tendenze attuali sul benessere lavorativo in Italia.

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