Il Teatro Studio Melato di Milano ospita, dal 14 marzo al 6 aprile, la prima nazionale di ‘Storia di un cinghiale’, un monologo intrigante scritto da Gabriel Calderón. Questa produzione, che affronta temi profondi attraverso un filtro shakespeariano, vede la performance dell’attore Francesco Montanari nel ruolo di un attore teatrale che si confronta con la sua identità e il desiderio di successo. La pièce si basa su ricordi e riflessioni che prendono spunto dal celebre ‘Riccardo III’ di Shakespeare.
Gabriel Calderón: un direttore d’eccezione al piccolo
Nato nel 1982, Gabriel Calderón è un artista di grande talento e un nome di riferimento nel panorama teatrale uruguayano. Fondatore, insieme ad altri, della compagnia Complot nel 2005, Calderón ha accumulato esperienze significative nella produzione teatrale. Con ‘Storia di un cinghiale’, la sua opera debutta per la prima volta al Piccolo di Milano, colmando un vuoto nella scena italiana grazie a una narrazione che affronta con audacia la precarietà dell’esistenza di un attore in cerca di un ruolo di primo piano.
Nel monologo, Calderón dipinge un ritratto profondamente umano e complesso di un attore che tanto desidera vedere riconosciuta la sua arte. Questo lavoro si distingue per la sua capacità di far risuonare una verità universale, toccando il cuore di chi si dedica alla creatività. L’interpretazione di Francesco Montanari, che riesce a rendere viva la figura del protagonista, regala al pubblico un’ottima occasione per riflettere sul valore e sull’ephemeralità dell’arte.
Il cinghiale: simbolo di potere e ambizione
Il cinghiale, animale emblematico di questa narrazione, viene descritto da Calderón come un simbolo complesso che si intreccia con la figura di Riccardo III. Questo animale è anche insignito della presenza sullo stemma della casata dei York, da cui proviene il futurò re. La raffinatezza di questo simbolismo è ancora più accentuata dalla peculiarità del cinghiale, bianco in un contesto di scuole di pensiero dominato da altre colorazioni.
Calderón riflette su come il cinghiale, indipendentemente dalla sua carnagione, incarni l’ambizione quanto la brutalità del potere. Presentato come una creatura non particolarmente astuta ma temibile, il cinghiale si distingue per la sua energia e disposizione a scagliarsi verso un obiettivo, simile alla determinazione di Riccardo III nell’acquisire il trono. L’analisi di Calderón invita a una riflessione urgente su come il potere possa alterare i comportamenti e le aspirazioni degli individui.
Riflessioni shakespeariane sulla condizione umana
La trama di ‘Storia di un cinghiale’ invita a un approfondimento del significato profondo che l’opera di Shakespeare ha su ciascun artista contemporaneo. Calderón sottolinea come, sebbene gli artisti possano brillare in fase creativa, vi è una fragilità intrinseca nell’atto performativo. La precarietà del teatro è un tema centrale nelle parole del regista: la creazione di uno spettacolo, sebbene bella e potente, è destinata a svanire al calar del sipario.
Riccardo III diventa, in questo contesto, una metafora della vita degli artisti: bravissimi nel dare vita a storie e emozioni, ma altrettanto impotenti quando si tratta di mantenere vivo il loro operato. La riflessione di Calderón, dunque, è un richiamo all’umanità condivisa tra i performers e i loro spettatori, un invito a esplorare le ombre e le luci del teatro stesso, un luogo di sogni e desideri che non sempre trova la solidità necessaria per perdurare.