Le autorità italiane hanno avviato un’azione legale contro Meta e altre piattaforme social, accusandole di non aver dichiarato al Fisco italiano imponibili per circa 4 miliardi di euro tra il 2015 e il 2021. La presunta evasione dell’IVA ammonta a oltre 887 milioni di euro. L’accusa si basa sull’interpretazione che l’accesso gratuito ai servizi come Facebook e Instagram, in cambio dei dati personali degli utenti, costituisca una forma di permuta soggetta a tassazione IVA.
Il contesto delle indagini su Meta
Negli ultimi anni, Meta Platforms Inc., precedentemente nota come Facebook Inc., è stata oggetto di numerose indagini volte ad accertare la natura della prestazione fornita agli utenti attraverso l’accesso ai social media. Queste indagini hanno cercato di stabilire se i dati degli utenti venissero utilizzati come “merce” in un contesto commerciale, senza che gli stessi fossero adeguatamente informati sui termini del servizio.
Le prime fasi delle indagini si sono concentrate sulla trasparenza dell’informativa privacy fornita agli utenti. Si è discusso se questa fosse sufficientemente chiara per garantire che gli utenti potessero prendere decisioni informate riguardo all’utilizzo dei loro dati personali.
Le accuse del Garante della concorrenza
Il procedimento avviato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha portato alla luce due pratiche commerciali scorrette da parte di Meta. La prima riguarda Instagram: gli utenti non sono stati informati adeguatamente durante la registrazione riguardo alla raccolta e all’utilizzo dei loro dati per fini commerciali. Questo ha portato a decisioni che gli utenti potrebbero non aver preso se avessero avuto tutte le informazioni necessarie.
La seconda accusa riguarda la mancanza di assistenza adeguata per il recupero degli account bloccati su Facebook e Instagram, limitando così le possibilità degli utenti nel contraddittorio sulle cause della sospensione del servizio.
L’AGCM ha sottolineato che i dati personali acquisiscono valore economico quando vengono utilizzati a scopi commerciali, configurando quindi un rapporto tra consumatore e professionista anche in assenza di pagamenti monetari diretti. Di conseguenza, le pratiche commerciali adottate da Meta sono state ritenute scorrette; ciò ha comportato sanzioni amministrative pecuniarie pari a 3,5 milioni di euro.
Le implicazioni legali nel Regno Unito
Nel dicembre 2024, la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano ha notificato l’avviso conclusivo delle indagini preliminari nei confronti dei rappresentanti legali della filiale irlandese di Meta per mancata presentazione delle dichiarazioni IVA relative al periodo sotto esame.
Parallelamente nel Regno Unito si è risolta una causa storica contro Meta riguardante la pubblicità personalizzata. Tanya O’Carroll aveva denunciato violazioni alle leggi britanniche sulla protezione dei dati poiché non era stata informata correttamente sui suoi diritti relativi alla raccolta dei suoi dati personali per fini pubblicitari. L’Information Commissioner’s Office britannico ha sostenuto questa posizione affermando il diritto individuale all’opposizione rispetto all’utilizzo dei propri dati personali.
Meta ha accolto queste richieste ed ora deve interrompere l’invio delle pubblicità personalizzate basate sui dati degli utenti coinvolti nella causa; questo potrebbe avere ripercussioni significative anche su scala globale riguardo ai diritti degli utilizzatori sui social media.
Il quadro normativo italiano ed europeo
L’Agenzia delle Entrate italiana sta conducendo un’indagine approfondita sulla questione dell’evasione fiscale da parte delle piattaforme digitali come Meta. Secondo quanto riportano fonti ufficiali italiane, sembra emergere una fattispecie giuridica secondo cui l’accesso ai servizi social sarebbe considerabile una prestazione soggetta ad IVA poiché i servizi vengono pagati “in natura” attraverso i propri dati personali messi a disposizione dagli utenti.
A livello europeo ci sono normative specifiche – come indicato dalla Direttiva UE n°2006/112/CE – che stabiliscono chiaramente cosa debba essere considerata base imponibile nell’ambito dello scambio commerciale online quando vi è cessione gratuita o accesso senza pagamento diretto da parte dell’utente finale.
La Corte Europea si è pronunciata sul fatto che quando viene offerto un servizio gratuitamente ma con richiesta esplicita d’utilizzo dei propri dati personale da parte dell’utente stesso questo possa configurarsi come corrispettivo economico soggetto ad imposizione fiscale.
In Italia però esistono differenze interpretative rispetto alle normative europee; infatti mentre secondo alcune disposizioni nazionali potrebbe sembrare difficile determinare con precisione quale sia la base imponibile effettiva derivante dall’utilizzo gratuito del servizio sociale offerto dalle piattaforme digitalizzate, altre norme suggeriscono chiaramente quali siano le modalità corrette d’imposizione fiscale nei casi simili.
Prospettive future nelle relazioni fiscali con le piattaforme digitali
La situazione attuale presenta molteplici complessità sia dal punto vista giuridico sia operativo poiché coinvolge questionamenti interpretativi delicati circa quale debba essere considerata corretta applicabilità normativa rispetto alle operazioni effettuate dai colossi tecnologici sul territorio nazionale.
In caso d’accertamento IVA ci sarebbero problematiche relative al recupero dell’imposta versata dagli operatori privati visto che questi ultimi potrebbero non avere nemmeno informazioni sufficientemente dettagliate sugli utilizzi effettuabili dai singoli consumatori finalizzati all’acquisto o meno d’un bene o servizio specifico.
Seppur vi siano margini d’incertezza sull’esito finale della questione appare evidente come tale dibattito possa influenzare profondamente anche altri paesi europei spingendoli eventualmente verso iniziative simili miranti ad ottenere maggiore chiarezza sulle modalità fiscali applicabili nei confronti aziende operanti nel settore digitale.