Il tragico evento della strage di Ustica continua a sollevare emozioni e interrogativi, anche dopo oltre quarant’anni. Il 27 giugno del 1980, un aereo Dc-9 dell’Itavia, in volo da Bologna a Palermo, si inabissò nel mare tra le isole di Ponza e Ustica, causando la morte di 81 persone, tra cui 11 bambini. Con la recente richiesta di archiviazione dell’indagine da parte della Procura di Roma, le famiglie delle vittime temono che il mistero possa rimanere irrisolto.
La tragedia del Dc-9 Itavia
La drammatica storia del Dc-9 Itavia rappresenta una delle pagine più buie dell’aviazione civile italiana. Quel fatidico giorno, il volo partito da Bologna non raggiunse mai la sua meta. Mentre si trovava in volo, l’aereo scomparve dai radar, precipitando in mare con a bordo 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Le ricerche successive al disastro, avviate dalle autorità, non restituirono mai i resti degli sfortunati viaggiatori, portando con sé un velo di mistero che persiste ancora oggi.
A partire da quel giorno, molte sono state le teorie e le speculazioni su ciò che possa essere realmente accaduto. Diversi rapporti di indagine e testimonianze hanno indicato presunti depistaggi da parte di enti governativi e possibili coinvolgimenti internazionali. L’assenza di prove concrete ha alimentato il dibattito, lasciando molti con l’amaro in bocca e la sensazione che la verità resti una chimera.
La battaglia personale di Anthony De Lisi
Anthony De Lisi, fratello di una delle vittime, ha dedicato decenni della sua vita alla ricerca della verità. Per lui, il dolore non si è mai placato. “Siamo passati dall’amarezza allo sdegno, e da lì a una rabbia profonda”, ha dichiarato. La sua testimonianza mette in evidenza la lotta continua delle famiglie delle vittime, che non intendono rassegnarsi dinanzi a un apparente immobilismo da parte delle autorità.
I suoi interventi pubblici sono tutti intrisi di passione. De Lisi esprime indignazione per il modo in cui lo Stato ha gestito la questione, sottolineando gli sforzi falliti per ottenere giustizia e verità. “Ogni giorno, la mia famiglia e io ripensiamo a quelle persone. Non possiamo accettare che il dolore di 81 morti venga ignorato da chi avrebbe il dovere di indagare”, ha affermato. La richiesta di archiviazione da parte della Procura ha rappresentato per lui una ferita atroce, aggravatasi nel tempo e difficile da rimarginare.
L’impatto della richiesta di archiviazione
La comunicazione della Procura di Roma ha gettato un’ombra su tutto il percorso di ricerca della verità intrapreso dalle famiglie. Per molti familiari delle vittime, come De Lisi, la decisione rappresenta un fallimento non solo delle istituzioni ma anche della memoria e del rispetto per coloro che hanno perso la vita.
La sofferenza di chi ha perso un proprio caro in questa tragedia si ricollega a domande rimaste senza risposta. Molti si chiedono se le istituzioni italiane siano state in grado di affrontare davvero una vicenda così complessa, in cui si intrecciano elementi di storia politica, relazioni internazionali e diritti umani. Anthony De Lisi stesso, consapevole dei limiti dell’attuale sistema giuridico nazionale, valuta ora l’opzione di rivolgersi al Tribunale penale internazionale per cercare giustizia.
La ricerca della verità continua
Il messaggio che ci giunge da De Lisi è chiaro: la ricerca della verità non si fermerà. “Esplorare ogni possibile strada è un obbligo morale”, ha detto. La sua volontà di non cedere alla rassegnazione è testimone di una battaglia giocata non solo sul campo legale, ma anche su quello umano, dove il dolore e la speranza si mescolano in un equilibrio precario.
Le storie delle 81 vite spezzate nel mare di Ustica sono una ferita aperta nella coscienza del Paese, una storia che chiede di essere riscritta con il rispetto del passato e in cerca della verità. In questa battaglia, il tempo gioca a favore di una memoria viva, che non si arrende e non permette che la giustizia venga dimenticata.